L’acqua di San Giovanni non è solo un’antica tradizione popolare: è un gesto che attraversa i secoli, una carezza simbolica fatta di erbe, luna e silenzio.
C’è una notte, tra tutte, in cui la terra si carica di mistero e le erbe spontanee parlano un linguaggio antico. È la notte di San Giovanni, tra il 23 e il 24 giugno, quando in molte case si prepara un catino d’acqua colmo di fiori e piante aromatiche, lasciato all’aperto a raccogliere la rugiada e la luce lunare.
Al mattino, quell’acqua non è più la stessa: è un’acqua, carica di energia naturale, simbolo di purificazione, protezione e rinascita.
In Calabria, questa usanza si tramanda da generazioni: mani esperte e rispettose della terra raccolgono erbe spontanee e aromatiche, all’alba del 23 giugno. Gesti antichi, compiuti da donne, anziane e giovani.
E l’acqua? È parte viva di questo incanto: l’acqua Fontenoce, che sgorga pura a 1238 metri dalla Sila, tra rocce granitiche e paesaggi incontaminati, è oligominerale, leggera, povera di sodio, e per questo ideale per accompagnare rituali naturali e momenti di benessere consapevole.
Qual è la leggenda dell’acqua di San Giovanni?
La leggenda dell’acqua di San Giovanni affonda le radici in un tempo sospeso, quando la natura veniva ascoltata come una voce viva e la luce del solstizio d’estate sembrava portare con sé magie antiche.
Il 24 giugno si festeggia San Giovanni Battista, il santo che battezzò Gesù nelle acque del Giordano, ma prima ancora che fosse festa cristiana, questo giorno celebrava la forza della terra, la fecondità dei campi, la maturità del sole.
Nella notte che lo precede, tra il 23 e il 24 giugno, secondo la tradizione popolare si credeva che la natura raccogliesse tutta l’energia della luna e delle stelle, e che le erbe raccolte – potenziate dalla rugiada che cadeva silenziosa -, fossero più cariche di virtù curative.
In quella stessa notte, gli spiriti della natura si diceva vagassero liberi, e i falò accesi nei villaggi servivano a tenerli lontani e al tempo stesso a celebrare il ciclo della vita. Le persone si riunivano, ballavano, scambiavano sorrisi e riti, accendendo la notte con il fuoco, l’acqua e la memoria.
Così nasce l’acqua di San Giovanni: un infuso di erbe e fiori raccolti all’alba, lasciati in acqua pura sotto il cielo della notte più magica dell’anno. Al risveglio, lavarsi con quell’acqua significava lasciare andare il male, accogliere il bene, iniziare un nuovo ciclo con la benedizione della natura e protetti da malocchi, sventure e malattie.
Le origini dell’acqua di San Giovanni in Calabria
In Calabria, questa tradizione si è intrecciata a gesti quotidiani, tramandati da madri e nonne, donne che conoscevano le piante e i tempi della terra.
Una delle usanze più poetiche era quella delle “cummari ‘i mazzettu”: bambine e donne che si scambiavano piccoli mazzetti di erbe spontanee legate con fili d’erba o nastri colorati. Un patto di amicizia, stima e protezione reciproca, che aveva il profumo dell’estate e il sapore delle cose che restano.
Anche tra famiglie era consuetudine scambiarsi mazzi di erbe e fiori, come segno di pace, gratitudine e connessione. Si creava così una rete di relazioni che andava oltre i legami di sangue, tessuta con piante raccolte a mano e l’acqua buona dei monti.
Oggi, riscoprire questo rituale significa molto più che celebrare una leggenda: è riconnettersi con la natura, onorare la memoria delle proprie radici, e vivere un momento di consapevolezza autentica.
Ma, cosa serve fare l’acqua di San Giovanni? Lo scopriamo nel prossimo paragrafo, tra erbe profumate, fiori di campo e piccoli gesti che si tramandano nel tempo.
Quali erbe si mettono nell’acqua di San Giovanni?
Preparare l’acqua di San Giovanni è un gesto antico, semplice, ma carico di significato. Servono poche cose, ma tutte scelte con cura: un catino, acqua pura e un mazzetto di erbe spontanee raccolte nella notte più magica dell’anno.
La tradizione vuole che la raccolta avvenga dopo il tramonto del 23 giugno, tra le pieghe dell’oscurità e la luce discreta della luna, quando secondo le credenze popolari le piante sono più cariche di virtù curative e benefiche. Ci si inoltra nei campi, nei giardini o semplicemente ci si affaccia su un terrazzo profumato d’estate.
Si raccolgono erbe e fiori freschi, preferibilmente in numero dispari, seguendo l’istinto, la stagionalità e ciò che la natura offre con generosità. È un momento che invita al silenzio, all’osservazione, alla gratitudine.
Tra le erbe più utilizzate ci sono quelle che da secoli popolano gli orti e le credenze popolari del Sud:
- Iperico, o “erba di San Giovanni”, portatrice di luce e protezione;
- Lavanda, rilassante e profumata;
- Menta, fresca e purificante;
- Rosmarino e salvia, simboli di forza e chiarezza;
- Ruta, antica pianta scaccia-malocchio;
- Camomilla;
- Finocchietto selvatico.
E poi, ancora, camomilla, finocchietto selvatico, malva, artemisia, basilico, timo, alloro, foglie di noce, gelsomino, caprifoglio, foglie di limone o arancia
E poi ci sono i fiori, i veri protagonisti silenziosi del rito. Che fiori ci vogliono per fare l’acqua di San Giovanni? Tutti quelli che puoi raccogliere nel rispetto della terra e della stagione:
- Petali di rosa canina o coltivata;
- Fiordaliso;
- Papavero;
- Margherita;
- Sambuco;
- Amaranto;
- Ginestra.
Ciascuno di loro porta un messaggio simbolico da donare all’acqua: energia, bellezza, purificazione, protezione.
Secondo le credenze ancora vive in Calabria, terra di antichi saperi e magia bianca, la notte di San Giovanni è un tempo sospeso, in cui la natura ha “poteri speciali” che si riflettono sul corpo e sulla mente. Preparare quest’acqua è, da sempre, un gesto femminile, tramandato tra donne, madri, figlie e cummari, carico di cura e di amore.
Una volta raccolte, le erbe vengono immerse in un catino di vetro o rame, riempito con acqua leggera e pura – come Acqua Fontenoce, che sgorga incontaminata dalla Sila e rispetta la delicatezza delle piante.
Il catino va lasciato all’aperto per tutta la notte, esposto alla luna e alla rugiada, affinché queste possano arricchire l’infuso di energia sottile e benefici naturali. Al risveglio, l’acqua si usa per lavare il viso, gli occhi e le mani: un gesto delicato, che purifica e protegge, ma che si dice faccia bene anche alla pelle.
In molte case, si conserva una parte di quest’acqua in piccole boccette da donare a chi si ama: un augurio silenzioso di fortuna, benessere e leggerezza, da usare entro la giornata del 24 giugno.
Ricorda: utilizza solo erbe biologiche o spontanee raccolte in modo consapevole, evitando piante sconosciute o potenzialmente irritanti. In caso di allergie o dubbi, è sempre bene consultare un erborista o il proprio medico di fiducia.
Acqua di San Giovanni: il rito che parla all’anima
In un tempo frenetico in cui tutto corre veloce, il rito dell’acqua di San Giovanni è un invito a fermarsi, respirare, ascoltare.
Preparare le erbe con calma, scegliere con intenzione ogni fiore, immergerli nell’acqua con cura, osservarli al chiaro di luna: ogni gesto è una forma di mindfulness naturale, che ci riconnette al corpo e ai sensi.
Al risveglio, lavarsi con quell’acqua diventa un piccolo gesto di cura, un rituale per rinnovare energia, equilibrio e gratitudine. Non è magia, ma presenza. Un momento per ricordarci che la natura ha un ritmo e che possiamo, anche solo una volta l’anno, sceglierlo come nostro.
Il potere silenzioso dell’acqua
Non tutte le acque sono uguali. In un rito così delicato e simbolico, l’acqua scelta ha un ruolo centrale. Acqua Fontenoce, che nasce pura dalle sorgenti incontaminate della Sila, è oligominerale, povera di sodio, con un gusto equilibrato.
Perfetta non solo per il rito dell’acqua di San Giovanni, ma per accompagnare ogni giorno i tuoi momenti di benessere, dalle tisane ai rituali della pelle.
“Sii gentile con te stessa. Anche solo per una notte. Anche solo con un catino d’acqua e un pugno di fiori.”